Letteratura e diversità: intervista a Colum McCann

ph. credits: Adolfo Frediani

di Emiliano Tognetti

Con questa prima intervista allo scrittore Colum McCann, si apre ufficialmente il progetto “ACD: Arte Cultura e Disabilità contro lo Stigma”. Gli abbiamo rivolto qualche domanda in merito alla sua produzione letteraria e quanto la utilizza per parlare “del diverso” e di come si può conoscere chi la pensa diversamente da noi. Spero che sia per molti un gradito momento di riflessione. Dopo l’intervista in italiano, quella in inglese. Buona lettura!

With this first interview with the writer Colum McCann, the project “ACD: Art Culture and Disability against Stigma” officially opens. We asked him a few questions about his literary production and how he uses it to talk about “the different” and how we can get to know those who think differently from us. I hope that for many it will be a welcome moment of reflection. After the interview in Italian, the one in English. Enjoy the reading!

  • C’è un’opera, o più opere, nella tua produzione artistica, che secondo te finiscono meglio dei concetti e dei contenuti per il superamento dello Stigma sociale? Se si, quali e perché?
    Sì, compio 60 anni! Ho iniziato a fare giornalismo a 12 anni, che ci crediate o no. Mio padre era un calciatore professionista e un giornalista. Ho imparato da lui e ho iniziato a fare reportage sulle partite di calcio locali a Dublino quando ero molto giovane. Andavo in giro in bicicletta, da un campo all’altro, e cercavo di capire chi segnava i gol. Poi telefonavo ai giornali e il giorno dopo veniva pubblicato, parola per parola. Non mi sembrava strano allora, ma ora mi sembra straordinario. Il passato assume una nuova consistenza.
  • Ho ascoltato il tuo intervento a Sarzana e poi ho letto che, da giovane, hai fatto un viaggio lungo gli Stati Uniti e che questa esperienza “ti ha aperto le orecchie alle storie degli altri”. Ci puoi raccontare questa tua esperienza? Quanto questo viaggio ti ha aiutato a capire le differenze altrui?
    Sì, ho attraversato gli Stati Uniti in bicicletta quando avevo 21 anni. Ho iniziato a Cape Cod e ho finito a San Francisco, attraversando il Golden Gate Bridge dopo un anno e mezzo di viaggio. È stato un viaggio straordinario che mi ha portato in Messico e anche al confine canadese. Ho imparato ad ascoltare le storie degli altri. Stavo vivendo molte vite diverse attraverso le storie che sentivo. Il mondo era fatto delle storie degli altri. Ho incontrato persone povere nel Mississippi, persone ricche ad Aspen, pazzi, amanti, empatici, sociopatici, tutti i tipi di persone in tutti i tipi di travestimenti e travestimenti. È stata una meravigliosa educazione all’umanità.
  • Come nasce un tuo romanzo? Sei un tipo che aspetta un tema chiave? Oppure vai molto su commissione editoriale? Hai editori che ascoltano le tue proposte oppure “impongono” il loro parere commerciale?
    I miei editori americani a volte cercano di suggerire certe cose. Ad esempio, non volevano che scrivessi un romanzo sul Covid. E probabilmente avevano ragione in quell’occasione. Ma in generale decido per me. Sono ossessionato da un tema e non riesco a liberarmene finché non lo scrivo. Tuttavia, scrivere un romanzo è un impegno a lungo termine. Ci vogliono tre, quattro, forse anche cinque anni. Devi soffermarti in quell’atmosfera per molto tempo. Quindi devi essere preparato. C’è molto da dire sulle idee di desiderio, resistenza e perseveranza.
  • Una volta che hai avuto l’idea e che inizi la stesura, mentre prosegui nell’elaborazione, ti chiedi cosa riceverà il lettore dal tuo testo? Ti poni mai dal punto di vista del lettore e di quello che potrebbe ricevere?
    Sempre, sempre, sempre. Il tuo lettore è colui che completa il romanzo. È anche colui che porta il romanzo nel mondo. Trattalo con gentilezza. Trattalo come vorresti essere trattato tu stesso. Con rispetto. Con gentilezza. Senza condiscendenza. Il tuo lettore, in definitiva, è la forma migliore di te stesso.
  • Posto che ti ho letto in traduzione e non nella tua lingua originale, noto che si tratta di opere di qualità e me ne complimento con te. Ma hai avuto anche critiche importanti nel tuo lavoro? Ti hanno aiutato a migliorare negli anni?
    Leggo le recensioni positive e, pur essendone grato, non mi fido. Perché a volte sono troppo gentili. Leggo anche le recensioni negative e in genere sono solo questo: recensioni negative, e spesso sono scritte male o mal concepite. A volte sono solo i recensori che recensiscono se stessi. L’unica recensione è quella che sai nel profondo del tuo cuore: hai fatto del tuo meglio e si spera che questo sia sufficiente. Alla fine saranno i tuoi lettori a dirtelo.
  • Un filo comune che mi sembra attraversi le tue opere, sia il porre l’accento sul tema [che le persone sostengano] differenti punti di vista, mi sbaglio? Oppure in quali opere pensi che sia meglio descritta questa visione? Secondo te, quando le differenze personali sono un fattore positivo e quando invece un fattore negativo?
    Credo in un punto di vista caleidoscopico, sì. Il mondo è disordinato. Contiene moltitudini. Dubito della presenza di verità assolute. Spesso c’è molto più di una verità. Penso che questo tema sia affrontato soprattutto nel mio romanzo Apeirogon, che fonde fatti e finzione per descrivere le vite di due uomini, Rami e Bassam, uno israeliano e l’altro palestinese. Arrivano a una verità assoluta e condivisa: “Non dobbiamo amarci. In realtà non dobbiamo nemmeno piacerci, anche se speriamo di poterlo fare. Ma DOBBIAMO capirci a vicenda, altrimenti saremo spacciati”.
  • C’è un’opera, o più opere, nella tua produzione artistica, che secondo te finiscono meglio dei concetti e dei contenuti per il superamento dello Stigma sociale? Se si, quali e perché?
    Le storie sono sempre meglio delle idee. Questo perché incapsulano le idee. Le idee da sole sono spesso noiose o limitate. Le storie infrangono questi confini.
  • Hai affrontato anche in alcune opere il tema della disabilità? Qual è la tua percezione del fenomeno a riguardo? Come la vedi cambiata nel corso di questi decenni?
    Purtroppo non ho ancora affrontato questo tema. Forse dovrei. Sicuramente merita di essere esplorato in modo appropriato. Penso che noi, la specie umana, cioè, stiamo diventando più bravi a riconoscere la forza e le forze dietro la disabilità.
  • Secondo te, oggi si fa più o meno cultura rispetto al passato? Perché, da qualche anno, sembra che l’innovazione e la sperimentazione anche in ambito culturale e televisivo siano state messe un po’ da parte, rispetto al fare repliche di “serie TV sicure” (ad esempio Tolkien, Harry Potter etc.)?
    È meno prodotta. Ed è meno audace. E meno sperimentale. Viviamo in tempi di paura. Siamo tornati in casa. Ci siamo limitati. Abbiamo messo le coordinate GPS sulle nostre capacità immaginative.
  • Secondo te, che hai scritto anche di guerra, quanto “stigma” e “guerra” sono legate e sono anche “concause” l’uno dell’altra”?
    La guerra è una questione di paura. Paura dell’altro. Paura di sé stessi. Paura della verità. Queste paure derivano da stigmi che sono sia consci che subconsci. Quindi, in molti modi, sì, contribuiscono l’uno all’altro.
  • L’uomo contemporaneo, che cosa sembra aver perso rispetto a qualche generazione precedente (ad esempio quella che ha fatto la Seconda Guerra Mondiale) e che cosa ha guadagnato? E questo guadagno è sempre stato positivo, secondo te?
    Non sono sicuro che la generazione che ha combattuto nella seconda guerra mondiale fosse in qualche modo migliore delle persone che abbiamo oggi. Penso che sia una pericolosa forma di nostalgia. Dopo tutto, la seconda guerra mondiale ha mostrato il meglio ma anche il peggio dell’istinto umano. L’Olocausto. Hiroshima. Dresda. I campi in Russia. Il razzismo. Il fascismo. L’elenco è infinito. Ma questo solleva un punto importante: perché non abbiamo imparato da questi orrori? Perché ci tiriamo indietro e permettiamo che queste cose orribili (Gaza, Ucraina, Sudan) si svolgano davanti ai nostri occhi? Cosa c’è che non va in noi?
  • Non sei estraneo al mondo del cinema. Che cosa porti di quella esperienza? Che differenza c’è fra un libro ed una sceneggiatura non tanto a livello tecnico, ma di messaggi che vuoi far arrivare al tuo pubblico?
    Ho fatto solo un film, Everything in this Country Must. È disponibile per la visione qui. https://colummccann.com/film-everything/ In realtà ho fatto anche un paio di altri cortometraggi, ma non hanno avuto lo stesso successo di “Everything ..” E ho scritto una dozzina di sceneggiature, alcune delle quali sono andate molto vicine alla produzione. E ho co-scritto un film intitolato “When the Sky Falls” che era ok ma non un blockbuster in nessun modo. Tutto ciò mi porta a dire che non sono estraneo al cinema ma di certo non mi paga le bollette. In termini di messaggi, i libri sono molto più agili. Tutto può entrare in un romanzo.
  • Ho letto che Spielberg ha comprato i diritti per Apeirogon. Che impressione ti ha lasciato l’idea di vedere un tuo libro in futuro sul grande schermo?
    Un grande film è una cosa molto difficile da realizzare. In realtà è più facile scrivere un grande libro, penso. Ma anche più difficile da concepire. Ah, le contraddizioni!
    Da allora ha abbandonato quell’idea. E così ho fatto io. Ad alcuni non piaceva l’idea che lui facesse un film su Apeirogon. Penso che sarebbe stato meraviglioso, ma controverso.
  • Ultime domande: ci sono opere che vorresti non riscrivere? O che riscriveresti con la maturità di adesso? Progetti in cantiere per il prossimo futuro?
    Non riscriverei nulla. Sono quello che sono. Sono come bambini. Una volta nati, non puoi tornare indietro.
    E ho un nuovo romanzo in uscita a marzo. Si intitola Twist. È un libro sulla riparazione e il sabotaggio dei cavi sottomarini.

English version

  • Colum, you will soon reach a significant date in a man’s life. What memories do you have of your first debut as a journalist?
    Yes, I’m turning 60! I first started journalism at the age of 12, believe it or not. My father was a professional football player and a journalist. I learned from him and I began reporting local soccer matches in Dublin at a very young age. I would ride around on my bicycle, from field to field, and try to figure out who scored the goals. Then I would phone my copy in to the newspapers and it would be published, word for word, the next day. It didn’t seem odd then, but it seems extraordinary to me now. The past takes on a new texture.
  • I listened to your speech in Sarzana and then I read that, when you were young, you took a trip across the United States and this experience “opened your ears up to the stories of others”. Can you tell us about this experience of yours? How much did this trip help you understand the differences of others?
    Yes, I took a bicycle across the United States when I was 21. I began in Cape Cod and finished in San Francisco, coming across the Golden Gate Bridge after a year and a half on the road. It was an extraordinary journey that brought me to Mexico and the Canadian border too. I learned how to listen to the stories of others. I was living many different lives through the stories that I heard. The world was made of the stories of others. I met poor people in Mississippi, wealthy people in Aspen, madmen, lovers, empaths, sociopaths, all sorts of people in all sorts of guises and disguises. It was a marvellous education in humanity.
  • How does a novel of yours come to life? Are you the type who waits for a key theme? Or do you work a lot on editorial commission? Do you have publishers who listen to your proposals or “impose” their commercial opinion?
    My U.S. publishers sometimes try to suggest certain things. For example, they did not want me to write a Covid novel. And they were probably right on that occasion. But, in general, I’m on my own. I get obsessed by a theme and I can’t get rid of it until I write it. Still, writing a novel is a long-term proposition. It takes three, four, maybe even five years. You have to dwell in that atmosphere for a very long time. So, you have to be prepared. There’s a lot to be said for the ideas of desire, stamina and perseverance.
  • Once you have the idea and begin writing, as you continue to elaborate, do you ask yourself what the reader will receive from your text? Do you ever put yourself in the reader’s position and what he or she might receive?
    Always, always, always. Your reader is the one who completes the novel. They are also the ones who take the novel out into the world. Treat them kindly. Treat them like you would want to be treated yourself. With respect. With kindness. Without condescension. Your reader, ultimately, is the best form of yourself.
  • Given that I read you in translation and not in your original language, I note that these are quality works and I congratulate you. But have you also had important criticisms in your work? Have they helped you improve over the years?
    I read the good reviews and, while I am grateful for them, I don’t trust them. Because sometimes they’re too nice. I also read the bad reviews and generally they are just that: bad reviews, and often they are badly written or ill-conceived. Sometimes they are just the reviewers reviewing themselves. The only review is that which you know deep down in your own heart: you have tried your best and hopefully that is enough. Ultimately your readers will tell you.
  • A common thread that seems to me to run through your works, is the emphasis on the theme of people having different points of view, am I wrong? Or in which works do you think this vision is best described? In your opinion, when are personal differences a positive factor and when a negative factor?
    I believe in a kaleidoscopic point of view, yes. The world is messy. It contains multitudes. I doubt the presence of absolute truths. There is often so much more than one truth. I think this theme is confronted most of all in my novel Apeirogon, which blends fact and fiction to depict the lives of two men, Rami and Bassam, one Israeli and the other Palestinian. They come up with one shared and absolute truth: “We don’t have to love each other. In fact we don’t even have to like each other, though we hope that we could. But we MUST understand one another, or we will be doomed.”
  • Is there a work, or more works, in your artistic production, that in your opinion are better than concepts and contents for overcoming social Stigma? If so, which ones and why?
    Stories are always better than ideas. That’s because they encapsulate ideas. Ideas on their own are often boring or narrow. Stories break these boundaries.
  • Have you also addressed the theme of disability in some of your works? What is your perception of the phenomenon in this regard? How do you see it changing over the course of these decades?
    Regretfully I haven’t really confront this theme. Perhaps I should. It certainly is worthy of proper exploration. I think we – the human species, that is — are getting better at recognising the force and the forces behind disability.
  • In your opinion, is culture more or less produced today than in the past? Why, in recent years, does it seem that innovation and experimentation, even in the cultural and television fields, have been put aside a bit, compared to making reruns of “safe TV series” (for example Tolkien, Harry Potter, etc.)?
    It is less produced. And it’s less daring. And less experimental. We are living in fearful times. We have come indoors. We have limited ourselves. We have put GPS coordinates on our imaginative capabilities.
  • In your opinion, given that you have also written about war, how much are “stigma” and “war” linked and are they also “contributory causes” of each other?
    War is about fear. Fear of the other. Fear of oneself. Fear of the truth. These fears come from stigmas that are both conscious and sub-conscious. So in many ways, yes, they do contribute to one another.
  • What does the Contemporary man seem to have lost compared to some previous generations (for example the one that fought in the Second World War) and what has it gained? And has this gain always been positive, in your opinion?
    I’m not sure that the generation that fought in the Second World War were in any sense better than the people we have now. I think that’s a dangerous form of nostalgia. After all, the Second World showed the very best but also the very worst of the human instinct. The Holocaust. Hiroshima. Dresden. The camps in Russia. Racism. Facism. The list is endless. But this does bring up an important point: why have we not learned from these horrors? Why do we stand back and allow these horrible things (Gaza, Ukraine, Sudan) to unfold in front of our very eyes? What is wrong with us?
  • You are no stranger to the world of cinema. What do you bring from that experience? What is the difference between a book and a screenplay, not so much on a technical level, but in terms of the messages you want to convey to your audience?
    I’ve only ever really made one film, Everything in this Country Must. It’s available for people to see here. https://colummccann.com/film-everything/ Actually I made a couple of other shorts as well, but they weren’t as successful as “Everything ..” And I have written a dozen screenplays, some of which have come very close to production. And I co-wrote a film called “When the Sky Falls” which was okay but not a blockbuster by any means. All of which leads me to say that I’m not a stranger to cinema but it certainly isn’t paying my bills. In terms of messages, books are much more agile. Everything can go into a novel. A great film is a very difficult thing to achieve. It’s actually easier to write a great book I think. But also more difficult to conceive. Ah, the contradictions!
  • I read that Spielberg bought the rights to Apeirogon. What impression did the idea of seeing one of your books on the big screen in the future leave on you?
    He has since moved on from that idea. And so have I. Some people didn’t like the idea of him making a film of Apeirogon. I think he would have been marvellous. But controversial.
  • Last questions: are there any works that you would like not to rewrite? Or that you would rewrite with the maturity you have now? Any projects in the pipeline for the near future?
    I wouldn’t rewrite anything. They are what they are. They are like children. Once born, you can’t go backwards.
    And I have a new novel coming out in March. It’s called Twist. It’s a book about the repair and the sabotage of underwater cables.

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